Alessandro, Parigi, Quillau, 1755, I

 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Portici de’ giardini reali.
 
 PORO, poi ERISSENA
 
 PORO
1280Erissena.
 ERISSENA
                     Che miro!
 Poro, tu vivi? E quale amico nume
 fuor del rapido fiume
 salvo ti trasse?
 PORO
                              Io non t'intendo. E quando
 fra l'onde io mi trovai?
 ERISSENA
                                             Ma tu pur sei
1285il finto Asbite.
 PORO
                             E per Asbite solo
 mi conosce Alessandro,
 son noto a Timagene.
 ERISSENA
                                          E ben, da questo
 si pubblicò che disperato Asbite
 nell'Idaspe morì.
 PORO
                                  Fola ingegnosa
1290che d'Alessandro ad evitar lo sdegno
 Timagene inventò.
 ERISSENA
                                     Lascia ch'io vada
 di sì lieta novella
 a Cleofide...
 PORO
                         Ascolta. Infin ch'io giunga
 un disegno a compir, giova che ognuno
1295mi creda estinto e più che ad altri, a lei
 convien celare il ver. Per troppo affetto
 scoprir mi può, che van di rado insieme
 l'accortezza e l'amore. A maggior uopo
 opportuna mi sei. Senti, ritrova
1300l'amico Timagene; a lui dirai,
 che del real giardino
 nell'ombroso recinto, ove ristagna
 l'onda del maggior fonte, ascoso attendo
 Alessandro con lui. Là del suo foglio
1305può valermi l'offerta. Io di svenarlo,
 ei di condurlo abbia la cura.
 ERISSENA
                                                     Oh dio!
 PORO
 Tu impallidisci! E di che temi? Hai forse
 pietà per Alessandro? E preferisci
 la sua vita alla mia?
 ERISSENA
                                       No. Ma pavento...
1310Chi sa... Può Timagene
 non credermi, tradirci...
 PORO
                                               Eccoti un pegno (Cava un foglio)
 per cui ti creda, anzi ti tema. È questo
 vergato di sua mano un foglio in cui
 mi stimola all'insidia; e farlo reo
1315può col suo re, quando c'inganni. Ardisci,
 mostrati mia germana;
 e mostra che ti diede in vario sesso
 un istesso coraggio un sangue istesso. (Le dà il foglio)
 
    Risveglia lo sdegno,
1320rammenta l'offesa;
 e pensa a qual segno
 mi fido di te.
 
    Nell'aspra contesa
 di tante vicende
1325da te sol dipende
 l'onor dell'impresa,
 la pace d'un regno,
 la vita d'un re. (Parte)
 
 SCENA II
 
 ERISSENA, poi CLEOFIDE
 
 ERISSENA
 Sì funesto comando
1330amareggia il piacer ch'io proverei
 per la vita di Poro. Oh dio! Se penso
 che trafitto per me cade Alessandro,
 palpito e tremo.
 CLEOFIDE
                                Immagini dolenti,
 deh per pochi momenti
1335partite dal pensier.
 ERISSENA
                                      Regina, ormai
 rasciuga i lumi. Il consolarsi alfine
 è virtù necessaria alle regine.
 CLEOFIDE
 Quando si perde tanto,
 necessità, non debolezza è il pianto.
 ERISSENA
1340(Lagrime intempestive!
 Mi fa pietà; le vorrei dir che vive).
 
 SCENA III
 
 ALESSANDRO e dette
 
 ALESSANDRO
 Regina, è dunque vero
 che non partisti? A che mi chiami? E come
 senza Poro qui sei?
 CLEOFIDE
1345Mi lasciò, lo perdei.
 ALESSANDRO
                                       Dovevi almeno
 fuggir, salvarti.
 CLEOFIDE
                               Ove? Con chi? Mi veggo
 da tutti abbandonata e non mi resta
 altra speme che in te.
 ALESSANDRO
                                          Ma in questo loco,
 Cleofide, ti perdi. È di mie schiere
1350troppo contro di te grande il furore.
 CLEOFIDE
 Sì, ma più grande è d'Alessandro il core.
 ALESSANDRO
 Che far poss'io?
 CLEOFIDE
                                Della tua destra il dono
 de' Greci placherà l'ira funesta.
 Tu me la offristi, il sai.
 ERISSENA
                                            (Sogno o son desta!)
 ALESSANDRO
1355(Oh sorpresa! Oh dubbiezza!)
 CLEOFIDE
                                                         A che pensoso
 tacer così? Non ti rammenti forse
 la tua pietosa offerta o sei pentito
 di tua pietà? Questa sventura sola
 mi mancheria fra tante. Io qui rimango
1360certa del tuo soccorso;
 son vicina a perir; tu puoi salvarmi;
 e la risposta ancora
 su' labbri tuoi, misera me, sospendi?
 ALESSANDRO
 Vanne, al tempio verrò. Sposo m'attendi. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 CLEOFIDE ed ERISSENA
 
 ERISSENA
1365Cleofide, sì presto io non sperai
 le lagrime sul ciglio
 vederti inaridir ma n'hai ragione.
 Allor che acquisti tanto,
 non è per te più necessario il pianto.
 CLEOFIDE
1370Il consolarsi alfine
 è virtù necessaria alle regine.
 ERISSENA
 Quando costa sì poco
 l'uso della virtude, a chi non piace?
 CLEOFIDE
 Forse il tuo cor non ne saria capace.
 ERISSENA
1375Incapace lo credi e pur distingue
 la debolezza tua.
 CLEOFIDE
                                 Vorrei vederti
 più cauta in giudicare. Il tempo, il luogo
 cangia aspetto alle cose. Un'opra istessa
 è delitto, è virtù, se vario è il punto
1380donde si mira. Il più sicuro è sempre
 il giudice più tardo;
 e s'inganna chi crede al primo sguardo.
 
    Se troppo crede al ciglio
 colui che va per l'onde,
1385invece del naviglio
 vede partir le sponde;
 giura che fugge il lido
 e pur così non è.
 
    Se troppo al ciglio crede
1390fanciullo al fonte appresso,
 scherza con l'ombra e vede
 moltiplicar sé stesso;
 e semplice deride
 l'immagine di sé. (Parte)
 
 SCENA V
 
 ERISSENA, poi ALESSANDRO con due guardie
 
 ERISSENA
1395Chi non avria creduto
 verace il suo dolore? Or va', ti fida
 di chi mostrò sì grande affanno. E noi
 ci lagneremo poi,
 se non credon gli amanti
1400alle nostre querele, a' nostri pianti.
 Ma ritorna Alessandro; oh come in volto
 sembra sdegnato! Io tremo
 che non gli sia palese
 quanto contien di Timagene il foglio.
 ALESSANDRO
1405Oh temerario orgoglio!
 Oh infedeltà! Mai non avrei potuto
 figurarmi, Erissena,
 tanta perfidia.
 ERISSENA
                              (Ah di noi parla!) E quale,
 signore, è la cagion di tanto sdegno?
 ALESSANDRO
1410L'odio, l'ardire indegno
 di chi dovrebbe a' benefici miei
 esser più grato.
 ERISSENA
                               (Ah che dirò!) Potresti
 forse ingannarti.
 ALESSANDRO
                                  Eh non m'inganno. Io stesso
 vidi, ascoltai, scopersi
1415il pensier contumace;
 e chi lo meditò né pur lo tace.
 ERISSENA
 Alessandro, pietà. Son colpe alfine...
 ALESSANDRO
 Son colpe che impunite
 moltiplicano i rei. Voglio che provi
1420la vendetta, il gastigo ogni alma infida.
 Olà, qui Timagene. (Partono le guardie)
 ERISSENA
                                       Ei sol di tutto
 è la prima cagione.
 ALESSANDRO
                                      Anzi avvertito
 da Timagene io fui.
 ERISSENA
                                       Che indegno! Accusa
 gli altri del suo delitto. E Poro ed io,
1425signor, siamo innocenti. In questo foglio
 vedi l'autor del tradimento. (Gli dà il foglio)
 ALESSANDRO
                                                      E quando
 io mi dolsi di voi? Che foglio è questo?
 Di qual frode si parla?
 ERISSENA
                                            A me la chiede
 chi a me finor la rinfacciò?
 ALESSANDRO
                                                   Parlai
1430sempre de' Greci il cui ribelle ardire
 si oppone alle mie nozze.
 ERISSENA
                                                E non dicesti
 che a te già Timagene
 tutto avvertì?
 ALESSANDRO
                            Di questo ardire intesi,
 non d'altra insidia.
 ERISSENA
                                      (Oh inganno!
1435Il timor mi tradì).
 ALESSANDRO
                                    «Poro, se invano (Legge)
 su l'Idaspe Alessandro
 d'opprimer si tentò, colpa non ebbi;
 tutto il messo dirà. Ma tu frattanto
 non avvilirti, a me ti fida e credi
1440che alla vendetta avrai
 quell'aita da me che più vorrai.
 Timagene». Infedel! Sì, di sua mano
 caratteri son questi.
 ERISSENA
 (Che feci mai!)
 ALESSANDRO
                               Ma donde il foglio avesti?
 ERISSENA
1445Da un tuo guerrier che invano
 ricercando di Poro a me lo diede.
 (Celo il germano).
 ALESSANDRO
                                    A chi darò più fede?
 Parti, Erissena.
 ERISSENA
                               Ah tu mi scacci. Io vedo
 che dubiti di me. Se tu sapessi
1450con quanto orrore io ricevei quel foglio,
 mi saresti più grato.
 ALESSANDRO
                                        Assai tardasti
 però nell'avvertirmi.
 ERISSENA
                                         Irresoluta
 mi rendeva il timor.
 ALESSANDRO
                                        Lasciami solo
 co' miei pensieri.
 ERISSENA
                                   Oh sventurata! Io dunque
1455teco perdei già di fedele il vanto?
 ALESSANDRO
 Eh non dolerti tanto. Un dubbio alfine
 sicurezza non è.
 ERISSENA
                                Sì, ma quell'alme,
 cui nutrisce l'onor, la gloria accende,
 il dubbio ancor d'un tradimento offende.
 
1460   Come il candore
 d'intatta neve
 è d'un bel core
 la fedeltà.
 
    Un'orma sola
1465che in sé riceve
 tutta le invola
 la sua beltà. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 ALESSANDRO, poi TIMAGENE
 
 ALESSANDRO
 Per qual via non pensata
 mi scopre il cielo un traditor! Ma viene
1470l'infido Timagene. Io non comprendo
 come abbia cor di comparirmi innanzi.
 TIMAGENE
 Mio re, so che poc'anzi
 di me chiedesti; ho prevenuto il cenno;
 le ribellanti schiere
1475ricomposi e sedai. Le regie nozze
 puoi lieto celebrar.
 ALESSANDRO
                                     Non è la prima
 prova della tua fé. Conosco assai,
 Timagene, il tuo cor; né mai mi fosti
 necessario così come or mi sei.
 TIMAGENE
1480Chiedi; che far potrei,
 signor, per te? Pugnar di nuovo? Espormi
 solo all'ire d'un campo?
 Tutto il sangue versar? Morir si deve?
 Alla mia fede ogni comando è lieve.
 ALESSANDRO
1485No no. Solo un consiglio
 da te desio. V'è chi m'insidia; è noto
 il traditore e in mio poter si trova;
 non ho cor di punirlo,
 perché amico mi fu. Ma il perdonargli
1490altri potrebbe a questi
 tradimenti animar. Tu che faresti?
 TIMAGENE
 Con un supplicio orrendo
 lo punirei.
 ALESSANDRO
                       Ma l'amicizia offendo.
 TIMAGENE
 Ei primiero l'offese;
1495e indegno di pietà costui si rese.
 ALESSANDRO
 (Qual fronte!)
 TIMAGENE
                             Eh di clemenza
 tempo non è. La cura
 lascia a me di punirlo. Il zelo mio
 saprà nuovi stromenti
1500trovar di crudeltà. L'empio m'addita,
 palesa il traditor, scoprilo ormai.
 ALESSANDRO
 Prendi, leggi quel foglio e lo saprai. (Gli dà il foglio)
 TIMAGENE
 (Stelle! Il mio foglio! Ah son perduto. Asbite
 mancò di fé).
 ALESSANDRO
                            Tu impallidisci e tremi?
1505Perché taci così? Perché lo sguardo
 fissi nel suol? Guardami, parla. E dove
 andò quel zelo? È tempo
 di porre in opra i tuoi consigli. Inventa
 armi di crudeltà. Tu m'insegnasti
1510che indegno di pietà colui si rese
 che mi tradì, che l'amicizia offese.
 TIMAGENE
 Ah signore, al tuo piè... (In atto d’inginocchiarsi)
 ALESSANDRO
                                              Sorgi. Mi basta
 per ora il tuo rossor. Ti rassicura
 nel mio perdono; e conservando in mente
1515del fallo tuo la rimembranza amara,
 ad esser fido un'altra volta impara.
 
    Serbati a grandi imprese,
 acciò rimanga ascosa
 la macchia vergognosa
1520di questa infedeltà.
 
    Che nel sentier d'onore
 se ritornar saprai,
 ricompensata assai
 vedrò la mia pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 TIMAGENE, indi PORO
 
 TIMAGENE
1525Oh perdono! Oh delitto!
 Oh rimorso! Oh rossore! E non m'ascondo
 misero a' rai del dì! Con qual coraggio
 soffrirò gli altrui sguardi,
 se reo di questo eccesso
1530orribile son io tanto a me stesso?
 PORO
 Qui Timagene e solo. Amico, il cielo
 giacché a te mi conduce...
 TIMAGENE
                                                 Ah parti, Asbite,
 fuggi da me.
 PORO
                          Se d'Alessandro il sangue
 noi dobbiamo versar...
 TIMAGENE
                                            Prima si versi
1535quello di Timagene.
 PORO
                                       E la promessa?
 TIMAGENE
 La promessa d'un fallo
 non obbliga a compirlo.
 PORO
                                              E pur quel foglio...
 TIMAGENE
 L'abborro, lo calpesto
 e la mia debolezza in lui detesto. (Lacera il foglio)
 
1540   Finché rimango in vita,
 ricomprerò col sangue
 la gloria mia tradita,
 il mio perduto onor.
 
    Farò che al mondo sia
1545chiara l'emenda mia
 al pari dell'error. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 PORO, poi GANDARTE
 
 PORO
 Ecco spezzato il solo
 debolissimo filo a cui s'attenne
 finor la mia speranza. A che mi giova
1550più questa vita? Abbandonato e privo
 della sposa e del regno, in odio al cielo,
 grave a me stesso, ad ogn'istante esposto
 di fortuna a soffrir gli scherni e l'ire?
 Ah finisca una volta il mio martire! (Entrando s’incontra in Gandarte)
 GANDARTE
1555Mio re, tu vivi!
 PORO
                               Amico,
 posso della tua fede
 assicurarmi ancor?
 GANDARTE
                                      Qual colpa mia
 tal dubbio meritò?
 PORO
                                     Gandarte, è tempo
 di darmene un gran pegno. Il brando stringi,
1560ferisci questo sen. Da tante morti
 libera il tuo sovrano;
 e togli questo uffizio alla sua mano.
 GANDARTE
 Ah signor...
 PORO
                        Tu vacilli! Il tuo pallore
 timido ti palesa. Ah fin ad ora
1565di tal viltà non ti credei capace.
 GANDARTE
 Agghiacciai, lo confesso,
 al comando crudel. Ma giacché vuoi,
 il cenno eseguirò. (Snuda la spada)
 PORO
                                    Che tardi?
 GANDARTE
                                                          Oh dio!
 Esposto al regio sguardo,
1570il rispettoso cor palpita e trema.
 Ah se vuoi sì gran prove
 volgi mio re, volgi il tuo ciglio altrove.
 PORO
 Ardisci, io non ti miro; il braccio invitto
 conservi nel ferir l'usato stile. (Poro rivolge il volto non mirando Gandarte e Gandarte allontanatosi da lui, nell’atto d’uccider sé stesso dice:)
 GANDARTE
1575Guarda, signor, se il tuo Gandarte è vile.
 
 SCENA IX
 
 ERISSENA e detti
 
 ERISSENA
 Fermati. (Trattenendolo)
 PORO
                     Oh ciel, che fai! (Rivolgendosi a Gandarte)
 GANDARTE
                                                    Perché mi togli,
 principessa adorata,
 la gloria d'una morte
 che può rendere illustri i giorni miei.
 ERISSENA
1580Qui di morir si parla e intanto altrove
 un placido imeneo (A Poro)
 stringe Alessandro all'infedel tua sposa.
 PORO
 Come!
 GANDARTE
                E fia ver?
 ERISSENA
                                    Tutto risuona il tempio
 di stromenti festivi. Ardon su l'are
1585gli arabi odori. A celebrar le nozze
 mancan pochi momenti.
 PORO
                                               Udiste mai
 più perfida incostanza? Or chi di voi
 torna a rimproverarmi i miei sospetti,
 le gelose follie,
1590il soverchio timor, le furie mie?
 Cadrà per questa mano,
 cadrà la coppia rea.
 GANDARTE
                                      Che dici!
 PORO
                                                         Il tempio
 è commodo alle insidie; a me fedeli
 son di quello i ministri. Andiamo.
 ERISSENA
                                                                Oh dio!
 GANDARTE
1595Ferma, chi sa, forse la tema è vana.
 PORO
 Ah Gandarte, ah germana
 io mi sento morir. Gelo ed avvampo
 d'amor, di gelosia; lagrimo e fremo
 di tenerezza e d'ira; ed è sì fiero
1600di sì barbare smanie il moto alterno
 ch'io mi sento nel cor tutto l'inferno.
 
    Dov'è? Si affretti
 per me la morte.
 Poveri affetti!
1605Barbara sorte!
 Perché tradirmi
 sposa infedel!
 
    Lo credo appena;
 l'empia m'inganna!
1610Questa è una pena
 troppo tiranna,
 questo è un tormento
 troppo crudel. (Parte)
 
 SCENA X
 
 ERISSENA e GANDARTE
 
 ERISSENA
 Gandarte, in questo stato
1615non lasciarlo, se m'ami.
 GANDARTE
                                              Addio, mia vita.
 Non mi porre in oblio,
 se questo fosse mai l'ultimo addio.
 
    Mio ben, ricordati,
 se avvien ch'io mora,
1620quanto quest'anima
 fedel t'amò.
 
    Io, se pur amano
 le fredde ceneri,
 nell'urna ancora
1625ti adorerò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 ERISSENA
 
 ERISSENA
 D'inaspettati eventi
 qual serie è questa! Oh come
 l'alma mia non avvezza
 a sì strane vicende
1630si perde, si confonde e nulla intende!
 
    Son confusa pastorella
 che nel bosco a notte oscura,
 senza face e senza stella,
 infelice si smarrì.
 
1635   Ogni moto più leggiero
 mi spaventa e mi scolora;
 è lontana ancor l'aurora
 e non spero un chiaro dì. (Parte)
 
 SCENA XII
 
  Tempio magnifico dedicato a Bacco con rogo nel mezzo che poi si accende.
 
 ALESSANDRO e CLEOFIDE preceduti dal coro de’ baccanti che escono danzando. Guardie, popolo e ministri del tempio con faci. Indi PORO in disparte
 
 CORO
 
    Dagli astri discendi,
1640o nume giocondo
 ristoro del mondo,
 compagno d'amor.
 
    D'un popolo intendi
 le supplici note,
1645acceso le gote
 di sacro rossor.
 
 CLEOFIDE
 Nell'odorata pira
 si destino le fiamme. (I ministri con due faci accendono il rogo)
 ALESSANDRO
                                          È dolce sorte
 d'un'alma grande accompagnare insieme
1650e la gloria e l'amor.
 PORO
                                      (Reggete il colpo,
 vindici dei).
 ALESSANDRO
                          Si uniscano, o regina,
 ormai le destre e delle destre il nodo
 unisca i nostri cori. (Accostandosele in atto di darle la mano)
 CLEOFIDE
 Ferma. È tempo di morte e non d'amori.
 ALESSANDRO
1655Come!
 PORO
                (Che ascolto!)
 CLEOFIDE
                                            Io fui
 consorte a Poro; ei più non vive. Io deggio
 su quel rogo morir. Se t'ingannai,
 perdonami, Alessandro. Il sacro rito
 non sperai di compir senza ingannarti.
1660Temei la tua pietà. Questo è il momento
 in cui si adempia il sacrificio appieno. (In atto di andare verso il rogo)
 ALESSANDRO
 Ah nol deggio soffrir. (Volendo arrestarla)
 CLEOFIDE
                                          Ferma o mi sveno. (Impugnando uno stile)
 PORO
 (Oh inganno! Oh fedeltà!) (Torna a celarsi)
 ALESSANDRO
                                                   Non esser tanto
 di te stessa nemica.
 CLEOFIDE
1665Il nome d'impudica
 vivendo acquisterei. Passa alle fiamme
 dalle vedove piume
 ogni sposa fra noi. Questo è il costume
 de' nostri regni; ed ogni età lontana
1670questa legge osservò.
 ALESSANDRO
                                         Legge inumana
 che bisogno ha di freno,
 che distrugger saprò. (Volendo arrestarla)
 CLEOFIDE
                                          Ferma o mi sveno. (Come sopra)
 ALESSANDRO
 Stelle, che far degg'io!
 CLEOFIDE
 
    Ombra dell'idol mio
1675accogli i miei sospiri,
 se giri intorno a me.
 
 SCENA ULTIMA
 
 TIMAGENE, poi GANDARTE, indi ERISSENA e detti
 
 TIMAGENE
                                        Qui prigioniero
 giunge Poro, mio re.
 CLEOFIDE
                                        Come!
 ALESSANDRO
                                                       E fia vero!
 TIMAGENE
 Sì; nel tempio nascoso
 col ferro in pugno io lo trovai. Volea
1680tentar qualche delitto. Ecco che viene. (Esce Gandarte prigioniero fra due guardie)
 CLEOFIDE
 Dove, dov'è il mio bene? (Getta lo stile)
 TIMAGENE
 Non lo ravvisi più?
 ALESSANDRO
                                      Vedilo.
 CLEOFIDE
                                                      Oh dio!
 M'ingannate, o crudeli, acciò risenta
 delle perdite mie tutto il dolore.
1685Ah si mora una volta,
 s'incontri il fin delle sventure estreme. (In atto di volersi gettar sul rogo)
 PORO
 Anima mia, noi moriremo insieme. (Trattenendola)
 CLEOFIDE
 Numi! Sposo! M'inganno
 forse di nuovo? Ah l'idol mio tu sei!
 PORO
1690Sì, mia vita, son io
 il tuo barbaro sposo
 che inumano e geloso
 ingiustamente offese il tuo candore.
 Ah d'un estremo amore
1695perdona, o cara, il violento eccesso.
 Perdona... (Volendosi inginocchiare)
 CLEOFIDE
                       Ecco il perdono in questo amplesso.
 ALESSANDRO
 Oh strano ardire!
 PORO
                                   Or delle tue vittorie
 fa' pur uso Alessandro. Allorch'io trovo
 fido il mio bene, a farmi sventurato
1700sfido la tua fortuna e gli astri e il fato.
 ALESSANDRO
 Con troppo orgoglio, o Poro,
 parli con me. Sai che non v'è più scampo,
 che sei mio prigionier?
 PORO
                                             Lo so.
 ALESSANDRO
                                                          Rammenti
 con quanti tradimenti
1705tentasti la mia morte?
 PORO
                                           A far l'istesso
 io tornerei vivendo.
 ALESSANDRO
 E la tua pena?
 PORO
                             E la mia pena attendo.
 ALESSANDRO
 E ben sceglila. Io voglio
 che prescriva tu stesso a te le leggi.
1710Pensa alle offese e la tua sorte eleggi.
 PORO
 Sia qual tu vuoi; ma sia
 sempre degna d'un re la sorte mia.
 ALESSANDRO
 E tal sarà. Chi seppe
 serbar l'animo regio in mezzo a tante
1715ingiurie del destin degno è del trono.
 E regni e sposa e libertà ti dono.
 CLEOFIDE
 Oh magnanimo!
 GANDARTE
                                 Oh grande!
 PORO
                                                        E ancor non sei
 sazio di trionfar? Già mi togliesti
 dell'armi il primo onore;
1720basti alla gloria tua, lasciami il core.
 Sugli affetti, su l'alme
 il tuo poter si stende? Adesso intendo
 quel decreto immortal che ti destina
 all'impero del mondo.
 CLEOFIDE
                                           E qual mercede
1725sarà degna di te?
 ALESSANDRO
                                  La vostra fede.
 PORO
 Vieni, vieni o germana (Vedendo Erissena)
 al nostro vincitore. Ah tu non sai
 quai doni, qual pietà...
 ERISSENA
                                            Tutto ascoltai.
 PORO
 Soffri o signor ch'io del fedel Gandarte
1730colla man d'Erissena
 premi il valor.
 ALESSANDRO
                             Da voi dipende. Intanto
 ei, che sì ben sostenne un finto impero,
 avrà virtù di regolarne un vero.
 Su la feconda parte,
1735ch'oltre il Gange io domai, regni Gandarte.
 ERISSENA
 Oh illustre eroe!
 GANDARTE
                                 Dal beneficio oppresso
 io favellar non oso.
 CLEOFIDE
 Secolo avventuroso
 che dal grande Alessandro il nome avrai.
 PORO
1740Io non saprò giammai
 da te partire; esecutor fedele
 sarò de' cenni tuoi. Guidami pure
 sugli estremi del mondo. Avranno sempre
 di Libia al sole o della Scizia al ghiaccio
1745la sposa il core ed Alessandro il braccio.
 CORO
 
    Serva ad eroe sì grande,
 cura di Giove e prole,
 quanto rimira il sole,
 quanto circonda il mar.
 
1750   Né lingua adulatrice
 del nome suo felice
 trovi più dolce suono
 di chi risiede in trono
 il fasto a lusingar.
 
 IL FINE